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Su depressione economica ed evasione fiscale

La frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno, quali sono, vessatorie e pesantissime e finché le sottili arti della frode rimarranno l’unica arma di difesa del contribuente contro le esorbitanze del fisco”.

Luigi Einaudi – Presidente della Repubblica  

Evasione e debito pubblico: l’opinione corrente 

Alcuni esponenti politici, in queste ore, sono tornati sul tema dell’evasione fiscale. Il loro pensiero è sostanzialmente questo: la grande depressione economica, pur scoppiata con l’epidemia, é  figlia anche dell’evasione perché, senza di essa, lo Stato si sarebbe trovato sulle spalle un debito  più contenuto. Fin da adesso, quindi, avrebbe potuto iniettare nel sistema maggiore liquidità, senza dover per forza ricorrere ad ulteriore indebitamento, e avrebbe potuto contenere  la crisi usando il fieno messo in cascina nei decenni passati.

La distrazione …

Questo ragionamento è suggestivo, fa presa, ma è sbagliato e fuorviante. Fuorviante perché imbastito a bella posta, allo scopo preciso di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai temi più profondi e impopolari che dovranno essere affrontati da qui a pochi mesi, ad iniziare dal modello di spesa proprio del welfare state. Modello sul quale, volenti o nolenti, dovremo tornare a riflettere senza “se” e senza “ma”, prima che ce lo impongano dall’esterno.

… e l’errore di metodo 

Ma è anche sbagliato. E lo è, anzitutto, perché asserisce, ma non  dimostra che una minore evasione avrebbe comportato un minor debito pubblico. Probabilmente, esaminando l’amministrazione della  spesa degli ultimi quarant’anni, il debito avrebbe ugualmente raggiunto cifre da capogiro.
Nella logica dell’economia sociale, infatti, com’è stata e continua ad essere la nostra, lo sviluppo e la protezione dei diritti passano giocoforza dalla spesa, e dunque il maggior fieno semmai messo in cascina con un più incisivo contrasto all’evasione sarebbe andato, dritto dritto, ad  ingrassare la già grassa mucca del debito pubblico e della spesa assistenziale.

La dimensione della legalità 

Vi è un altro motivo che dimostra la fallacia del ragionamento. L’evasione è un fenomeno molto complesso, che per essere compreso e arginato efficacemente – e non con strumenti giustizialisti e dalla facile presa emotiva sul corpo elettorale, ma del tutto inefficaci, come dimostra la storia degli ultimi cinquant’anni – esige che la dimensione della legalità, sulla quale galleggia tutta la problematica dell’evasione, venga analizzata nei suoi molteplici aspetti e valga, come metro di condanna o di approvazione, per tutti i soggetti del rapporto d’imposta e quindi anche per lo Stato.

Il rispetto della legge

La legalità ha due facce. La prima, quella che normalmente si osserva e che fa presa immediata sull’opinione pubblica, riguarda i cittadini e attiene al rispetto da loro dovuto agli “ordini” di legge. Riflette il pactum subiectionis che li lega allo stato in un rapporto di potere: i cittadini sono soggetti “al” patto. La legalità, però, ha anche un’altra faccia, ugualmente fondamentale affinché quegli “ordini” siano condivisi, accettati e rispettati. È la faccia dello Stato come soggetto “del” patto.

La slealtà del legislatore 

Per inquadrare compiutamente questo aspetto soccorrono le parole diamantine di  Luigi Einaudi, già richiamato in apertura:

 «Quando non si fa giustizia, le leggi non sono osservate, nemmeno quelle tributarie, e gli stati vanno alla perdizione»

(da L’imposta patrimoniale, 1946).

 Cosa fa venir meno la giustizia della legge, qual è il difetto che la illumina  di luce sinistra, così e al tempo stesso da oscurarla?

Per non tirarla troppo per le lunghe, si sopporti un’altra citazione perché la risposta viene, questa volta, da Piero Calamandrei.
Era il 4 marzo 1947, in Assemblea costituente si discuteva di una tavola di princìpi intorno ai quali far crescere la democrazia. Calamandrei affrontò di petto un tabù culturale e politico, tanto vischioso quanto intriso di ipocrisia, che pure oggi occhieggia in molti discorsi: la giustezza e lealtà, presunta e assoluta, del legislatore e della legge rispetto agli “ordini” imposti ai cittadini.

Il discredito delle leggi 

Disse: «guardate, una delle più gravi malattie è quella del discredito delle leggi. Gli italiani hanno sempre avuto assai scarso, ma lo hanno quasi assolutamente perduto il senso della legalità, quel senso che ogni cittadino dovrebbe avere del suo dovere morale, indipendente dalle sanzioni giuridiche, di rispettare la legge, di prenderla sul serio. E questa perdita del senso della legalità è stata determinata dalla slealtà del legislatore» (Atti dell’Assemblea costituente).

Le neuroscienze 

L’evasione è un fenomeno molto complesso e ridurlo ad un moto di ribellione sarebbe sbagliato. Su questo è bene essere chiari, ma è bene essere chiari anche sulla «slealtà del legislatore». Sarebbe intellettualmente disonesto negare o anche solo sottacere l’esosità della pressione fiscale, l’incomprensibilità delle norme, l’oppressione degli adempimenti, l’ossificazione burocratica, il giustizialismo forcaiolo, l’irrazionalità di alcune pretese. Fatti che, accompagnati al diffuso sperpero del denaro e a servizi pubblici di bassa qualità e scarsa efficienza, sollecitano l’evasione.

D’altra parte, le neuroscienze applicate all’economia ormai dimostrano con le evidenze di laboratorio come fatti di questo genere inducano alla disapprovazione, al rifiuto e quindi alla disobbedienza.

Il fisco nuovo, pungolo dell’economia e delle libertà

Queste scoperte, che hanno portato al Nobel R.H. Thaler, studioso dell’economia comportamentale e della teoria delle scelte, convincono ulteriormente dell’esigenza di cambiare alla radice il sistema e dare avvio a una vera e propria rivoluzione che porti l’Italia ad avere finalmente un fisco semplice, equo e pungolo dell’economia, in sostituzione di un fisco complicato, iniquo, costosissimo per tutti, compreso lo stato, freno per lo sviluppo e serbatoio di spese improduttive. È molto probabile che cambiando il paradigma della finanza pubblica – tributi e spesa – anche l’evasione, pian piano, possa diminuire strutturalmente.

Alessandro Giovannini

Professore Ordinario di Diritto Tributario, Università di Siena
Avvocato, Commercialista e Revisore dei Conti


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