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Gli scricchiolii del concordato biennale

Il concordato preventivo introdotto dal d.lgs. n. 13 del 2024 è un istituito qualificante della riforma in corso. Nel passato mi sono occupato a più riprese della determinazione anticipata della ricchezza. Ero e rimango convinto che  l’accertamento ex ante possa contribuire efficacemente alla formazione del consenso all’imposizione e rafforzare la democrazia sostanziale in seno all’imposizione, oggi digradata a democrazia meramente procedurale. Occorre ammettere, senza infingimenti, che l’art. 23 Costituzione è ormai ridotto a un simulacro della rappresentatività, eroso da uno svuotamento delle prerogative parlamentari e delle intelaiature partitiche intermedie: è la postdemocrazia.

D’altra parte, anche gli studi più recenti di economia comportamentale indicano la necessità di valorizzare la condivisione delle scelte e degli obblighi economici. Non soltanto o tanto coercizione, quanto condivisione della tassazione nella logica dell’azione umana e della cooperazione consensuale all’altrui bene in attuazione del dovere solidaristico.

Con riguardo al nostro concordato, allora, “tutto va ben madama la marchesa”? Non proprio. Detto con franchezza, lo strumento non è stato maneggiato con cura sul piano della capacità contributiva e della ragionevolezza. Non perché possa “coprire” l’evasione, aspetto rilevante ma che qui non interessa approfondire, ma perché si pone in contrasto con l“effettività” di quella capacità.

Andiamo con ordine. Il fatto che la determinazione del reddito sia anticipata comporta per forza uno “slittamento” dei piani ricostruttivi: per la tassazione rileva non più la ricchezza prodotta al temine di un periodo dato, che normativamente si assume come effettiva, ma quella “normale” che, sebbene stimata con sistemi informatici all’avanguardia, rimane confinata nell’ipotetico. L’anticipazione della determinazione, quindi, porta con sé mutamenti nella nozione stessa di presupposto.

Per contenere gli effetti di questo slittamento sarebbero stati necessari alcuni accorgimenti, che invece non sono stati presi: l’accordo avrebbe dovuto essere anticipato da un contraddittorio ed essere rivedibile a favore del contribuente non solo in casi eccezionali e con scostamento superiore al 50 per cento del convenuto, ma per eventi anche ordinari comportanti una differenza ragionevolmente più modesta. 

Normalizzazione e tendenziale immodificabilità del reddito sono dunque i due veri talloni d’Achille della disciplina. Per arrotondare le lance della possibile illegittimità, d’altra parte, non sarebbe sufficiente richiamare l’esigenza di contrastare l’evasione. Questa esigenza, come ha scritto la Corte Costituzionale nelle sentenza. nn. 42 del 1980 e 200 del 1976, non è parametro utilizzabile né per torcere i fondamenti costituzionali della tassazione, né per limitare la “conguagliabilità” del reddito normale rispetto all’effettivo.

Neppure si potrebbe far leva sulla libertà del contribuente di aderire alla proposta. La libertà deve essere reale, non apparente, come invece sembra essere la nostra. La disciplina, oltre ad essere monca sui terreni del contraddittorio e della conoscibilità dei dati utilizzati per la proposta, potrebbe persino farsi forte della minaccia di una pena accessoria, comprensiva dell’interdizione dall’esercizio dell’attività, stando all’emanando art. 12 del d.lgs. n. 471 del 1997.

Di qui la necessità di alcune modifiche: introdurre una fase di reale dialogo con il contribuente; considerare fattispecie di revisione dell’accordo anche non eccezionali; prevedere una soglia di scostamento ragionevole e congrua. E così, a quest’ultimo proposito, potrebbe essere ripresa quella del 20 per cento già dettata per l’accertamento del reddito del persone fisiche dal decreto n. 600 del 1973, eliminando al tempo stesso la irrazionale distinzione, ora prevista, fra scostamento a favore del contribuente, fissato al 50, e quello del 30 a favore dell’amministrazione.

Alessandro Giovannini

Professore Ordinario di Diritto Tributario, Università di Siena
Avvocato, Commercialista e Revisore dei Conti


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