La torre pendente del Governo

La torre pendente del Governo

“Evviva la Torre di Pisa che pende, che pende e mai non cadrà”, cantava Mario Latilla nel 1939. È invece probabile che la maggioranza di Governo venga giù in tempi molto ravvicinati.  Che non fosse marmorea come la Torre lo sapevamo fin dall’inizio, ma che fosse a tal punto crepata da rischiare di cadere in Parlamento è un dato acquisito nelle ultime ore.

Maggioranza risicata in Senato: una possibile crisi di Governo?

In Senato, col recentissimo passaggio di alcuni eletti nel Movimento 5 Stelle al gruppo misto, lo scarto tra forze di governo e di opposizione è ridotto a tre. Basta un colpo di vento forte, un maestrale sostenuto, e la Torre governativa cadrà.  E che il maestrale già soffi è altrettanto certo. Si tratta però di vedere se manterrà l’intensità della brezza tesa o assumerà quella della tempesta.

Alle profonde divergenze programmatiche tra i due partiti di governo, cucite alle meno peggio col filo contrattuale, in queste settimane si sono sommate le turbolenze dei mercati, le difficoltà con la Commissione europea, i conti pubblici fuori squadra, le inchieste infuocate della magistratura. Ma soprattutto sono arrivati i risultati delle elezioni europee, con le sue immediate conseguenze.

Da una parte, il forse irrimediabile indebolimento della leadership di Di Maio. Dall’altra, la smania di assolutismo di Salvini che lo porta ad alzare continuamente la posta: dallo sforamento di tutti i parametri di bilancio per realizzare un moncherino di flat tax, all’autonomia delle regioni del Nord.

Abbassamento delle tasse: il pretesto perfetto per la crisi di Governo

Alla Lega, a questo punto, conviene forse dar forza al vento e far cadere subito la torre sulla questione della riduzione delle tasse. Sulle tasse gli italiani sono disposti a perdonare l’interruzione traumatica di una legislatura.

D’altra parte, se i sondaggi sono veritieri, il pieno dei voti consentirebbe al partito in camicia verde di ipotecare l’elezione del Presidente della Repubblica, di chiudere i conti con una parte della magistratura, cancellando regole dettate dalla follia giustizialista, di rallentare lo scorrere del fiume assistenzialista, di realizzare il federalismo, seppure infarinato da decentramento o autonomia differenziata, e infine di recuperare il consenso tra gli imprenditori del Nord. Un bel bottino programmatico. Fratelli d’Italia si allineerebbe senza troppe difficoltà.

Diverso il discorso per i 5 Stelle. Il Movimento non ha probabilmente interesse al voto in settembre: al prossimo giro non solo perderebbe metà dei voti e conseguentemente dei seggi, ma sarebbe destinato a tornare all’opposizione e lì a rimanere fino all’esaurimento delle scorte elettorali.

Opposizioni, le diverse posizioni sulla crisi di Governo

Il fronte dell’opposizione, d’altro canto, è spaccato. Il PD di Zingaretti ha forse convenienza alle elezioni settembrine. Il motivo è semplice, niente di grandioso o strategico: col nuovo voto i gruppi parlamentari uscirebbero finalmente dal controllo di Renzi, che ancora ha i numeri per mettere un po’ di sabbia nel motore. Forza Italia, al contrario, non ha interesse ad anticipare le urne: troppo poco tempo da qui a settembre per riorganizzarsi e troppo poco tempo per pianificare la nascita di un vero partito liberal, riformatore e moderatamente sociale. Una cosa è certa: Berlusconi si è dimostrato genio politico ancora una volta, insediando un team di compromesso e scongiurando, in questo modo, la scissione di un partito in caduta libera. Ma questa mossa, pur fulminante, non basta per riprendere quota, occorre qualche mese in più per lanciare un nuovo programma e nuovi leader. Sempre che questo progetto abbia testa e gambe per comminare. E allora, la torre cadrà? È molto probabile, il maestrale è già brezza tesa. Basta che dall’Unione europea arrivi qualche potente massa d’aria e il gioco è fatto.

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