Il “decreto rilancio” prevede il ritorno massivo dell’economia di stato. Una scelta simile deve preoccupare perché miope e riproduttiva di politiche fallimentari che hanno contrappuntato il corso della storia fin dall’unità d’Italia
La politica economica di stato e il “decreto rilancio”
Il “decreto rilancio” prevede il ritorno massivo dell’economia di stato. Una scelta simile deve preoccupare perché miope e riproduttiva di politiche fallimentari che hanno contrappuntato il corso della storia italiana.
In più, ostacolando il libero sviluppo dell’imprenditoria e del lavoro secondo le regole di mercato, altera la concorrenza, confina le aziende italiane negli angusti recinti nazionali, ormai inappropriati alle dimensioni delle concorrenti aziende cinesi, indiane, statunitensi, e finisce per spostare fiumi di denaro pubblico dai “punti di partenza” ai “punti di arrivo” della catena imprenditoriale e del valore, ossia dalla produttività all’assistenza o quasi-assistenza.
La nuova nazionalizzazione dell’economia: durata iniziale 12 anni
Il “decreto rilancio”, come detto, mette nero su bianco questa scelta. A consacrarla non è tanto la nazionalizzazione di Alitalia, peraltro ben nascosta in mezzo a centinaia di norme (art. 202), quanto la creazione di “Patrimonio rilancio” (art. 27), un’appendice di Cassa Depositi e Prestiti, ossia del Ministero dell’economia. “Patrimonio rilancio”, per ben dodici anni, potrà soccorrere le società per azioni italiane con fatturato annuo superiore a 50 milioni di euro, apportando in esse le finanze necessarie per la prosecuzione dell’attività o per il salvataggio, con sottoscrizione di azioni, acquisto di obbligazioni e via dicendo, ed entrando nella loro cabina di comando.
Madame et monsieur, les jeux sont faits, rien ne va plus, vien da dire: la nazionalizzazione è partita. Il Parlamento non potrà fare molto per modificare questo percorso. L’approvazione del decreto, com’è prevedibile, avverrà col voto di fiducia al governo e quindi a scatola chiusa.
Per contrastare l’impostazione prescelta dall’Esecutivo, non interessa, per il momento, approfondire la storia industriale del paese e dimostrare per questa via la sua inadeguatezza, oppure rimarcare le differenze tra gli anni successivi alla seconda grande guerra e il tempo che ci è dato vivere, rileggere l’esperienza disastrosa dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale (I.R.I.) e men che meno interessa, adesso, fare discorsi sulle politiche d’ispirazione keynesiana, piuttosto che su quelle d’ispirazione liberale.
Quel che ora importa fare è accendere i riflettori su decisioni di politica economica rilevantissime che, nel silenzio quasi generale, sono state compiute dal governo in carica e che, proprio perché molto importanti, incideranno pesantemente sul futuro degli italiani.
La scelta ideologica
Decisioni, però, che non sono state dettate dall’emergenza di queste settimane. Non dobbiamo prestarci alla mistificazione della realtà. Per mantenere lucidità di ragionamento e serietà di giudizio, dobbiamo gettare la maschera del “politicamente corretto”: l’emergenza, a tutto concede, le ha accelerate, ma esse erano già scritte nel libro ideologico e programmatico di alcune forze di maggioranza, alle quali l’azione di governo si deve giocoforza piegare, come infatti si è concretamente piegata, sia perché sono le azioniste di maggioranza in Parlamento, sia perché il Presidente del Consiglio è ad esse riferibile, sia perché, infine, hanno in mano ministeri chiave, come quello dello sviluppo economico e del lavoro.
Il “doppio fondo” e l’investimento iniziale di 44 miliardi
A questa complessa operazione di politica economica messa silenziosamente in piedi dal governo, si potrebbe peraltro dare anche una lettura diversa, malevola, anzi diabolica.
La stesso articolo che istituisce “Patrimonio rilancio” mette a sua disposizione, per il 2020, 44 miliardi sotto forma di ulteriore debito pubblico, da reperire con emissione di appositi titoli di stato.
Ora, se volessimo pensar male, potremmo ipotizzare che l’intera operazione ha in realtà un doppio fondo, come fosse il baule di un prestigiatore. Quello che si fa vedere con intento ipnotico è il fondo dipinto col tricolore, ossia il salvataggio patriottico; il fondo che non si fa vedere, invece, nasconde altre bandiere.
La possibilità di emettere nuovi titoli di stato per una cifra estremamente consistente, potrebbe infatti consentire a investitori stranieri di acquistarli e quindi di guidare, di fatto, la strategia di alcuni comparti economici del paese. Insomma, detto brutalmente, con accordi commerciali collegati alla sottoscrizione dei titoli di stato o con patti politici e, per così dire, para sociali, questi investitori e gli stati che essi rappresentano potrebbero entrare nei salotti dai vetri oscurati dell’economia italiana senza colpo ferire.
A pensar male, com’è noto, si finisce dritti dritti all’inferno. E siccome io preferisco la via luminosa e fresca del paradiso, abiuro immediatamente.