In un mondo alluvionato di problemi, mantenere la lucidità è già potere.
Lo spiega bene Yuval Noah Harari, in 21 Lezioni per il XXI secolo (Bompiani editore). Harari è uomo che sa scrutare il futuro con la testa rivolta all’indietro. Non perché sia uno stregone, è un accademico israeliano che insegna storia e sociologia, ma perché sa guardare oltre il contingente. E per far questo ha un segreto: riesce a mantenere la lucidità, nonostante tutto.
Proprio ciò che manca, invece, in questi giorni di crisi governativa, nei quali la strategia dell’ombelico ha preso il sopravvento.
In che cosa consiste questa strategia?
Presto detto: cercare a tutti i costi di mantenere le posizioni conquistate, siano scranni parlamentari, incarichi ministeriali o strapuntini di vario genere, oppure non abbandonare posizioni elettorali dubbie da confermare tornando subito al voto o prendere tempo per organizzare nuovi contenitori. Ma significa anche non volere riconoscere il carattere sistematico della crisi, che la caduta del governo manifesta nella sua escrescenza putrescente, ma che ha radici malate molto più profonde.
La perdita di lucidità di chi ha dato il via allo sgretolamento della maggioranza e di chi sta cercando, a sinistra, di costruire maggioranze alternative, non consente di elaborare piani efficaci per superare lo strozzamento di queste giornate.
Il paese non ha bisogno di governi pur che siano, di programmi arruffati e contraddittori, coalizioni boccheggianti fin dalla nascita, come probabilmente sarebbero quelle che si vanno prospettando, e neppure ha bisogno di arruffapopoli, demagoghi o illusionisti.
Ha necessità impellente, piuttosto, di un progetto di sistema che lo sappia rimettere in marcia.
Le sfide che il mondo lancerà all’Italia nei prossimi mesi saranno talmente numerose e impegnative che solo un governo politico coeso – e per noi di stampo liberale – potrà essere in grado di affrontarle. La probabile recessione dell’economia degli Stati Uniti, la stagnazione ormai conclamata della Germania, il rallentamento dell’economia cinese, gli incessanti e sempre maggiori flussi migratori, le emergenze climatiche, la quarta rivoluzione industriale, il nuovo mondo della produzione e del lavoro, sono solo alcuni dei temi che dovranno essere fronteggiati. Senza contare, poi, i giganteschi problemi nostrani, dalla spesa pubblica alle tasse, dalla ricerca all’innovazione, dalle infrastrutture alla povertà.
Cosa fare?
Per farlo occorrono coesione, visione, competenza, capacità di sintesi e innovazione nei programmi sociali come in quelli economici, nel progetto europeo come in quello di politica internazionale.
Ora, vi fosse lucidità di analisi, la soluzione sarebbe semplice da trovare e forse sarebbe stata già raggiunta: chiamare subito alle urne il corpo elettorale per ridare spazio al potere fondativo delle democrazie, ossia al voto, perché, specie nei momenti di profonda crisi di sistema, com’è la nostra, è dal sovrano che bisogna tornare. È lui, alla fine della fiera, che fa la storia e decide il domani.
Abbandonare la strategia dell’ombelico, allora, è la via maestra da seguire. Milioni di elettori, solo due mesi fa, alle elezioni europee, hanno dato indicazioni cristalline sul futuro politico del paese. Questa è la lucidità con la quale la democrazia si manifesta, questa è la lucidità che i partiti devono recuperare urgentemente.