Alcune regioni del Nord chiedono da tempo maggiore autonomia. Niente di eversivo in ciò: tale richiesta è avanzata secondo Costituzione (art. 116). Anche la Campania si sta accodando, ma con fare provocatorio, più per mettere sabbia nel motore che per reali intenzioni autonomistiche.
Il Movimento 5 Stelle a livello governativo storce il naso, strizzando l’occhio ai territori del Sud che di autonomia non vogliono sentire parlare. Stringi stringi, il cuore della questione è la libertà fiscale delle regioni per le materie attribuite alla loro gestione, dalla sanità all’istruzione all’ambiente: quante tasse devono rimanere sui loro territori e quali poteri possono esercitare per imbastire una politica tributaria autonoma?
Autonomia regionale: il bilanciamento tra solidarietà e autogestione della fiscalità
Limitare oltre ragionevole misura questo tipo di autonomia significa non avere in mano, piaccia o non piaccia, il polso della parte più produttiva del Paese: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, infatti, producono da sole 700 miliardi di ricchezza – quasi il 40 per cento del PIL nazionale. Questo non le legittima, sia chiaro, alla secessione come paventato in altri tempi e neppure a scrollarsi di dosso tutti i doveri solidaristici. Ma nemmeno la solidarietà, come espressione dell’unità nazionale, può trasformarsi in motivo preclusivo o fortemente limitativo dell’autonomia differenziata. Se si utilizzasse l’argomento dell’unità per bloccarla arrecheremmo uno sfregio profondo alle libertà politiche ed economiche delle popolazioni che ne fanno richiesta. Il conto finale, in seguito, potrebbe paradossalmente essere salatissimo in termini proprio di mantenimento valoriale dell’unità.
Italia delle Regioni e autonomia: un puzzle storicamente complesso
L’Italia non è tutta uguale, lo sappiamo, e non lo è da più punti di vista. L’Italia è il contenitore di “diverse Italie”. Questa è la realtà. Negarlo o fingere che non esista è esercizio di pura ipocrisia, per di più dannoso perché non consente di ragionare lucidamente sul da farsi.
Stando così le cose, rafforzare l’autonomia delle Regioni è un modo non già di minare l’unità della Nazione, ma di fortificarla. Ripeto, non sembri un paradosso: la storia si fa con gli strumenti dati, nel momento dato. E giacché i valori, ad iniziare da quello comunitario (communitas, ossia cum munus), cambiano col trascorrere del tempo, è giocoforza naturale che anche quello dell’unità cambi.
L’unità nazionale ha avuto diversi significati e diversi valori nella Storia del nostro Paese.
Mentre nel Risorgimento l’unità era la condizione per respingere lo straniero, nel “ventennio” coincideva con la Patria e i valori fondativi del nazionalismo e dell’identità. In seguito, subito dopo la Seconda guerra mondiale, divenne sinonimo di solidarietà economica per ricostruire strade, case e ponti su tutto il territorio nazionale, mentre dagli anni Sessanta agli Ottanta l’unità fu intesa come garanzia di diffusione di reddito e benessere «dall’Alpe a Sicilia». Oggi tuttavia il discorso deve essere impostato diversamente, perché diverso è il sentire che vivifica il valore dell’unità stessa. Oggi il munus, il dono, il dare e darsi, deve essere bilanciato con altri valori e diventare un “dare equo”, altrimenti porterà alla ribellione.
Autonomia regionale e fiscalità, un mezzo per avvicinare i cittadini alle Istituzioni
Se si vuole che il “dare” con le tasse torni a essere vissuto come concorso al bene dell’intera comunità occorre che la “prossimità” tra singolo, territorio, spesa e tasse stesse sia adeguatamente valorizzata. Solo in questo modo quel “dare” può tornare a essere sentito come giusto anche per la porzione destinata allo Stato centrale e alle Regioni più svantaggiate.
La “prossimità”, intendiamoci, è soltanto uno degli ingredienti dell’equità. Ma senza di essa il senso di comunità nazionale è condannato a sgretolarsi sempre di più così come il senso di estraneità dello Stato, delle sue istituzioni e degli “altri” è destinato a svilupparsi in larghi strati della popolazione, specie in quelli più produttivi, che non si abbeverano alla fonte dell’assistenzialismo.