È legittimo un nuovo governo politico di legislatura?
Alla richiesta del centrodestra di votare subito in molti obiettano che la caduta di un governo non comporta per forza lo scioglimento delle Camere. Anzi, se in Parlamento è possibile trovare una maggioranza alternativa, si deve andare senz’altro avanti fino al termine della legislatura. L’osservazione è suggestiva ma infondata.
Andiamo con ordine.
Cosa dice la Costituzione?
L’art. 88 della Costituzione si limita a rimettere al Presidente della Repubblica il potere di scioglimento anticipato. I costituenti scrissero volutamente una disposizione a tal punto scarna da apparire vuota, perché neppure loro, nell’ottobre del 1947, durante la discussione in Assemblea, riuscirono ad accordarsi sulle cause legittimanti lo scioglimento.
La successiva prassi costituzionale si è formata su un ventaglio di casi molto diversi tra loro. Ciò nonostante, la prassi stessa consegna alcune regole, che, come tali, devono guidare le scelte di questi giorni.
Le fondamentali: al Presidente non si può chiedere di verificare, puramente e semplicemente, la possibilità di trovare maggioranze pur che siano. E neppure è sufficiente che coalizioni radicalmente diverse da quella originaria gli rappresentino un qualsivoglia programma.
Se il governo giallo-verde fosse nato dalle urne come cartello elettorale, lo sgretolamento del cartello stesso imporrebbe l’immediata apertura delle cabine elettorali. Il governo, però, è nato da un contratto post elettorale tra forze andate al voto divise e con ricette diverse. Si potrebbe allora dire che, proprio per questa strana nascita, la sua caduta non impedisce ad altri partiti di costituirne uno nuovo e di lunga vita.
Ora, se questo fosse davvero possibile ci troveremmo di fronte ad un sistema schizofrenico.
Se bastasse mettere insieme una qualunque maggioranza, vorrebbe dire che il sistema consente di passare, senza soluzione di continuità, dalle regole all’arbitro. La fase della crisi si potrebbe trasformare in spazio politico guidato dall’abuso, quando invece deve rimanere sorretto unicamente dalla ragionevolezza e dalla coerenza.
Lo spazio della crisi non può infatti diventare terreno di battaglia squisitamente politica: per questa esistono spazi diversi, appropriati, che la democrazia conosce e mette a disposizione di tutti i disputanti. Ma tra questi non rientra quello della crisi, che deve essere caratterizzato, appunto, dalla coerenza nelle scelte, le quali non devono mai andare a scapito del fondativo potere popolare del voto politico.
Cosa è successo in passato e come ci può aiutare
È proprio la coerenza il principio di condotta politica, di morale pubblica e fors’anche costituzionale, in grado di consentire di dipanare la matassa. Sono illuminanti, a questo riguardo, le esperienze maturate nella “prima” Repubblica. Se si scorrono gli annali governativi, si vede come questo principio sia stato generalmente rispettato proprio quando in una legislatura si susseguivano tre o quattro governi, tutti politici e tutti di durata. I partiti garantivano una sorta di continuità, di coerenza degli obiettivi fondamentali dei programmi. Non bastava, insomma, una qualsiasi maggioranza e neppure un qualsiasi programma, ma era necessario che la nuova maggioranza garantisse continuità al disegno politico.
Ora, poiché questo è l’abbecedario di una democrazia matura, è evidente che i tentativi di evitare le urne sono tutti dettati da ragioni di opportunismo personale o di bandiera.
Ed è altrettanto evidente che, forzando definitivamente questo abbecedario, la slabbratura delle regole sarebbe conclamata.
Alle difficoltà sistematiche, si sommerebbero quelle politiche, perché sarebbe impossibile far digerire questa rottura ai milioni di elettori che solo due mesi fa, alle elezioni europee, hanno dato indicazioni cristalline sul futuro politico del paese. E se la coerenza non accetta il sopruso, gli elettori men che meno.